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Anima e Carbonio. Intervista allo scrittore Arturo Caissut

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Quante volte ci chiediamo cosa accadrà nel futuro? Come sarà l’essere umano? Come vivranno le civiltà e, cosa importante, in che condizioni sarà la nostra beneamata Terra? Leggendo il libro dello scrittore Arturo Caissut “Anima e Carbonio”, edito dalla casa editrice L’Orto della cultura, queste domande hanno preso il sopravvento nella mia mente e ho pensato di intervistarlo per cercare di capire, fantasticare o immaginare cosa potrebbe accadere. 

 

Ciao Arturo, innanzitutto grazie mille per il tempo che mi stai dedicando. Ti faccio la domanda di rito: Come vanno le cose? 

In questo momento ho la febbre a 38 e fuori ci sono 32 gradi, dunque dovrei lamentarmi; la realtà è che ho un lavoro che mi piace, solitamente sono in salute, ho un sacco di hobby e conosco tante persone interessanti, dunque nel grande schema delle cose direi che mi ritengo molto fortunato.

Ho avuto modo di leggere il tuo libro che su numerosi aspetti ho trovato molto interessante. Sono sempre stato affascinato dai racconti fantascientifici che narrano anche un po’ mondi distopici. Come è nato questo libro e quali sono state le influenze letterarie e/o sociologiche?

La raccolta è nata un po’ per caso e un po’ perché prima o poi era inevitabile nascesse: non ho mai deciso razionalmente di produrla, però ho scritto tantissimi racconti brevi negli anni e alcuni dei più riusciti avevano in comune l’appartenenza a quella che potremmo definire fantascienza.

Quando la casa editrice mi ha contattato proponendomi una monografia mi sono confrontato con l’editor per scegliere un tema, e anche visto il momento storico di grande accelerazione del progresso ci è sembrato che questo fosse il più interessante. Quanto alle influenze letterarie, volendo restringere il campo a quello della letteratura sci-fi metto sicuramente Ursula K. Le Guin e Isaac Asimov al primo posto: la prima mi ha fatto ben capire come i generi letterari non siano che costrutti malleabili e sfumati tra loro, il secondo è forse il miglior esempio di scienziato prestato alla letteratura (o letterato prestato alla scienza).

“Anima e Carbonio”.  Tutti i racconti analizzano e mettono sotto il riflettore questo dualismo caratterizzato dall’animo umano che, in un’epoca che diventa sempre più tecnologica, spesso è anaffettivo, insensibile a ciò che ci accade intorno. Onestamente ho un po’ paura di quello che il “progresso tecnologico/scientifico” sta comportando. Cosa ti ha spinto a raccontare l’animo umano in uno scenario futuristico? 

Il mio punto di osservazione è sicuramente influenzato dal mio percorso di studi e professionale: sono Ingegnere e per tanti anni mi sono occupato di automazione e AI, dunque mi sono spesso interrogato sulle implicazioni etiche e morali della scienza e della tecnologia. In particolare lavoro da sempre in ambito sanitario, e lì tali implicazioni sono amplificate perché spesso la vita umana è direttamente coinvolta dalle scelte in ambito tecnico: l’animo umano è messo a dura prova in certi contesti. Diversi dei miei racconti nascono poi da un processo mentale abbastanza semplice: individuo un problema dell’Umanità, ipotizzo una soluzione scientifica, immagino cosa possa andare storto.

Così è nato ad esempio Tenue luce infrarossa, probabilmente il racconto che ha riscosso più successo tra i lettori: lì il problema sotto i riflettori è quello del lutto, di cosa potrebbe accadere se ci fosse tolta la possibilità di elaborarlo. Mi interessa molto di più una tematica come questa rispetto alle battaglie tra astronavi o alla space-opera: il mio approccio alla fantascienza è quello di usare gli scenari futuristici come “decorazione” per parlare di questioni strettamente umane. In un certo senso avrei potuto scrivere lo stesso libro ambientandolo tutto nell’anno mille o durante il regno di Numa Pompilio: costruiamo satelliti e reti neurali, ma nel profondo siamo rimasti uguali.

Nel tuo libro affronti il mondo dell’informazione e dell’atteggiamento dei media (spesso spalleggiati dai governi) nel veicolare le informazioni in modo che il pubblico si abitui a ricevere sempre e solo alcune notizie e a riceverle in modo sponsorizzato. Quanto, secondo te, potrà essere pericolosa l’informazione, in un ipotetico futuro? 

Credo parecchio: al momento, anche a causa di un uso distorto di Internet il quale ha instaurato meccanismi di monetizzazione che premiano la quantità rispetto alla qualità, più che essere pericolosa l’informazione è diventata minoritaria rispetto allo spam, siamo bombardati da una mole ingestibile di dati.

Molte persone faticano a trasformare questi dati grezzi in informazioni, e giornalisti e titolisti vari sguazzano nell’incapacità dei lettori di filtrare ciò che può essere interessante da ciò che è essenzialmente pornografia: la gente è più interessata alla vicenda del tizio che ha lasciato la fidanzata fedifraga durante una festa che non all’andamento dell’Euribor, tanto per fare un esempio, e c’è chi ci marcia sopra a forza di clickbait e articolacci di gossip, i quali sommergono le reali notizie. Lungi da me immaginare si tratti di qualcosa di pianificato dall’alto, non credo che la nostra classe politica sia abbastanza preparata per fare una cosa simile, ma in futuro potrebbe certamente essere il caso: citando nuovamente Roma, panem et circenses hanno sempre fatto il loro lavoro, non è difficile immaginare un’applicazione su larga scala di quel principio.

La guerra. Una delle cose che crea più danni al mondo e al contempo una delle cose più renumerative. Sin dalla nascita dei videogiochi e delle piattaforme di gaming, i giochi di guerra hanno sempre avuto grandissimo appeal e quelli odierni (onestamente, a me piace giocare ogni tanto a Call of Duty) sono sempre più reali, complice sicuramente lo sviluppo degli stessi e delle tecnologie che ci consentono di “giocare” alla guerra con persone di tutto il mondo. Nel tuo libro lo hai raccontato in un modo superiore, più spaventoso, più pericoloso, dove il confine tra lo stare davanti ad un monitor e quello in un campo reale è molto sottile. 

Come si trasformerà secondo te la guerra in un prossimo futuro?

Prima di rispondere, un inciso: sono un grande appassionato di videogiochi. Al momento non ho molto tempo libero, dunque gioco poco o niente, ma rimango un estimatore dell’hobby: una volta insieme a tre amici ho fatto una maratona a Super Mario durata nove ore e mezza, ed eravamo già tutti seri professionisti. Questo per dire che non sottoscrivo assolutamente le teorie per cui i videogiochi farebbero male: sono battaglie ideologiche portate avanti dagli stessi bacchettoni che ai tempi provarono a vietare D&D negli Stati Uniti, e che mi risulti non c’è prova che videogiocare alimenti la violenza. Nel racconto cui accenni, Il sesto anello, a mio avviso il problema non nasce tanto dallo sviluppo tecnologico in ambito videoludico, quanto dal modo in cui questo sviluppo viene “corrotto” dalle logiche del profitto e della spettacolarizzazione.

Collegandomi alla domanda precedente, più che essere un racconto sullo sviluppo del gaming a mio avviso è un racconto sullo sviluppo della pornografica disinformazione galoppante, la quale sfocia (nella finzione) nella morte vissuta come una forma di spettacolo. Nel mondo reale che succederà? Difficile a dirsi, ma in maniera forse controintuitiva mi verrebbe da dire che al momento la guerra sembra essersi fatta meno distruttiva rispetto a un tempo, o almeno è distruttiva in modo diverso: gli attacchi informatici tra Paesi in conflitto sono ora una realtà, e abbinati alle sanzioni economiche possono fare molti danni senza abbattere edifici o uccidere persone. Certo, il conflitto tra Russia e Ucraina ci insegna che purtroppo siamo ancora ben lontani dal momento in cui i missili passeranno di moda, ma non è detto che non prevalga l’uso di soluzioni meno devastanti.

Siamo agli sgoccioli e prima di completare volevo conoscere come è nata la passione per la scrittura.

Ho iniziato a inventare storie prestissimo, cosa che credo facciano tutti i bambini: io ho semplicemente continuato. Sono un avido lettore da sempre, cosa che penso aiuti molto, ma non ricordo di aver preso consciamente la decisione di provare a scrivere qualcosa di mio. So per certo che già alle elementari avevo creato un ciclo di storie fantastiche con una mia versione supereroistica come protagonista, il mitico BatArturo: ogni volta che la maestra ci dava come compito quello di scrivere un tema libero, io ne approfittavo per una nuova storia. Diciamo che per me scrivere è un’attività naturale, come leggere: non riesco davvero a ricordare un momento della mia vita successivo ai cinque anni d’età in cui non abbia fatto l’una o l’altra cosa. E la cosa più bella è che facendolo per passione e non per lavoro sono libero di farlo come e quando mi pare, senza dovere niente a nessuno e senza vincoli di alcun tipo.

Ultima domanda: quale sarà il tuo prossimo libro? Racconterai sempre di mondi distopici e di futuro oppure cambierai totalmente argomento? 

Bella domanda. In realtà il prossimo libro già è uscito: si tratta di Ninnananna per Adil, un romanzo breve per il quale ho vinto un contratto di edizione a un premio letterario l’anno scorso: altro libro che non avevo pensato di scrivere è che è arrivato, insomma. È una sorta di seguito morale di Anima e Carbonio, è a sua volta di ambientazione futuristica e credo stiano molto bene insieme. Ora che fare? Se produco una terza opera affine rischio di essere incasellato in un genere, se cambio troppo radicalmente magari deludo qualche lettore. Non saprei. Quello che è certo è che ho molto materiale pronto e altro in arrivo: ho due romanzi inediti di genere più o meno horror (ma anche lì il genere è solo un pretesto letterario: in uno dei due parlo di fragilità maschile, nell’altro dei danni che l’assenza di dialogo tra le persone può fare, anche se sono mimetizzati rispettivamente da storia di fantasmi e storia di vampiri) per i quali non mi dispiacerebbe trovare un editore: magari la prossima volta ci troveremo a parlare di uno di quelli, chissà?

Grazie mille per il tempo e per la tua cortese professionalità.

Grazie a voi!

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